dice gli negò tale diritto riconoscendo, tuttavia, la mancanza di una normativa specifica. Dopo ulteriori intricate vicende giudiziarie Welby, più che certo dell’esistenza del suo diritto all’autodeterminazione, e data l’impossibilità di staccare il re- spiratore con l’assenso del giudice, decideva di proseguire nel suo intento, avendo trovato un medico anestesista disponibile a venir incontro alle sue esigenze.
Il dott. Mario Riccio, dopo aver accuratamente visitato Pierlui- gi Welby ed essersi assicurato a più riprese della sua intenzione di voler essere sedato e staccato dal respiratore artificiale, il 20 dicembre 2006 procede al distacco del ventilatore automatico. La morte è sopraggiunta mezz’ora dopo.
È proprio dopo la morte di Welby che si apre la fase cruciale relativa al riconoscimento del diritto in questione: dapprima l’Ordine dei medici di Cremona, a cui Riccio appartiene, di- spone l’archiviazione del caso, poiché il paziente era “perfet- tamente in grado di intendere, di volere e di esprimersi e pie- namente consapevole della conseguenza del sopraggiungere della morte” e “poiché il medico non ha somministrato farmaci o altre sostanze atte a determinare la morte”.
In sede penale la Procura della Repubblica di Roma chiede di archiviare il caso, richiesta rigettata dal giudice per le indagini preliminari. Il procedimento si conclude nel luglio 2007 con una sentenza di non luogo a procedere emessa dal giudice per l’udienza preliminare che mette in luce che nell’ordinamen- to italiano “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, richia- mando, peraltro, l’articolo 13 della Costituzione, secondo il quale “la libertà personale è inviolabile”, desumendo da ciò il diritto all’autodeterminazione del paziente.