enormemente. Prese una decisione. Fu la frustrazione dovuta all’essere costretto a casa e a dipendere dalle visite di parenti e amici, e non i sintomi fisici del cancro, a farlo optare per una morte elettiva.
Le cure palliative non sono una panacea universale. Benché questo ramo della medicina possa dare un importante contributo, specialmente nel campo della terapia del dolore, non è utile usare la gestione dei sintomi come metro per valutare la qualità della vita di una persona.
Ciascuno misura la qualità della vita a modo suo. Ogni individuo ha un metro diverso. Se è chiaro che una vita senza dolore è meglio di una vita in cui si prova dolore, questo non è sempre l’aspetto più importante. È essenziale, invece, il complesso di fattori da cui dipende la valutazione che una persona dà della qualità della sua vita. Spesso i sintomi fisici di una malattia sono solo uno dei tanti elementi che si tengono in considerazione. Pensate al caso di Angelique.
Il fenomeno degli «stanchi della vita»
Negli ultimi anni è emersa una nuova tendenza che ha spinto Exit International a ripensare il suo approccio alla morte. Sempre più spesso, nei nostri workshop incontriamo anziani che, pur essendo in salute (per la loro età), ritengono che la vita sia diventata un peso sempre più difficile da sostenere. Non si tratta di persone depresse. Il sentimento da loro espresso si può riassumere così: «Ho vissuto bene abbastanza a lungo ed è ora che me ne vada». Il caso di Sidney e Marjorie Croft illustra bene questo fenomeno.
Nel 2002, i coniugi Croft inviarono ad Exit International un messaggio spiegando perché avevano deciso di andarsene insieme. Exit International non era a conoscenza delle loro