La ragazza era terrorizzata dalla possibilità di una morte simile e aveva quindi cercato di procurarsi del Nembutal attraverso internet. Avendolo ottenuto, lo tenne nascosto a casa dei genitori perché la legge ne proibiva il possesso. Quando ebbe il blocco, Angelique era in ospedale, ma il farmaco era a casa. Angelique perse così l’opportunità di assumere il controllo.
Poco prima di morire, Angie registrò un video-diario in cui chiedeva al primo ministro australiano Kevin Rudd di rendere legale l’eutanasia volontaria. La tragica storia di Angelique ci mostra molte cose, tra cui la necessità, da parte di una società moderna e civile, di dotarsi sia delle migliori cure palliative sia dell’istituto dell’eutanasia volontaria/suicidio assistito. La storia di Angelique è raccontata nel documentario 35 Letters, vincitore del Sydney Film Festival 2015.
Molti si rivolgono a Exit International sostenendo di ricevere le migliori cure palliative: eppure, come Angelique, queste persone desiderano esercitare un controllo sulla loro morte. Benché per il momento non provino dolore, dicono che la qualità della loro vita è gravemente compromessa dalla malattia e sanno che in molti casi la medicina palliativa moderna non può porre alcun rimedio.
Alcune di queste persone sono così deboli che non possono muoversi senza assistenza. Altre hanno problemi di respirazione tali da rendere impossibile una vita autonoma. Per un numero significativo di pazienti, ad avere un maggiore impatto sulla qualità della vita sono questioni non mediche. Un caso rappresentativo in tal senso è quello di un uomo di mezza età di nome Bob. Bob era affetto da cancro a un polmone. La prospettiva di non poter più esercitare il suo passatempo preferito – giocare a golf con gli amici – lo rattristava