forme più iniziatiche, riservate a pochi17. Le informazioni sui Collegia e Corpora (collegi e associazioni di mestiere) romani
sono rare in epoca repubblicana e più numerose in quella imperiale; costituite per lo più da iscrizioni (se ne conoscono complessivamente 196) e da alcuni riferimenti di Livio, Tacito18, Cicerone, Plinio e altri minori e successivamente in epoca tardo-imperiale dai molti giuristi che trattavano di problematiche conflittuali tra Stato e Collegia o della definizione delle loro regolamentazioni interne. Queste notizie trattano quasi sempre dei rapporti tra i Collegia e lo Stato, specialmente il fabrorum che era il più rappresentativo raccogliendo molte diverse attività manifatturiere, e illustrano anche la loro organizzazione amministrativa e i compiti pubblici che dovevano svolgere, le obbligazioni statali e i privilegi in materia di imposte riservate ai soli costruttori (sed artificium dumtaxat). Ciò che le caratterizzava in rapporto alla società e alle autorità civile era il loro carattere di necessaria opera publicis utilitatibus, in mancanza di ciò non erano riconosciute e non potevano operare19. I Collegia erano comunque di tre tipi diversi: professionali, religiosi e governativo-amministrativi e la loro appartenenza non era saltuaria ma implicava una continuità. A detta di Plutarco20 ci fu il riconoscimento ufficiale dei Collegia opificum fin
Plutarco
dall’età regale per le professioni di falegnami, stavigliai, cuoiai, calzolai, tintori, calderai, orefici e suonatori di flauto. Secondo il giureconsulto Gaio i Collegia erano già presenti presso i greci che li chiamavano ἑταιϱείαν (etaireìan) intese come associazioni politiche e anche di mestiere, caratterizzate dalla solidarietà tra i propri membri. I Collegia structorum(associazioni dei costruttori) accorpavano molteplici professionalità, come gli arcuarii, specializzati nella costruzione delle volte che implicavano complesse strutture lignee di supporto alla costruzione. La stessa lavorazione della pietra necessitava di diverse professionalità per cui esistevano i Collegia dei lapidarii,
17 Si veda Antonio Virgili Culti misterici ed orientali a Pompei, Gangemi, 2008, Introduzione. 18 Livio e Tacito definiscono il Collegium come aggregazione di persone unite da un simile scopo. 19 Scrive il giureconsulto Gaio del III secolo: «Non è consentito a tutti senza distinzione costituire una società
(societas) [commerciale], un collegio (Collegium) (professionale) o una siffatta struttura corporativa (corpus): questa materia è infatti rigorosamente disciplinata (coercetur) sia da leggi, sia da senatoconsulti, sia da costituzioni imperiali. Soltanto per pochi scopi [di pubblica utilità] sono state consentite strutture corporative (corpora) di tal genere: così è stato, appunto, consentito ai soci che riscuotono le entrate pubbliche o sfruttano le miniere d’oro e di argento, o le saline, di costituirsi in strutture corporative (corpus habere). Parimenti sussistono a Roma determinati collegi (Collegia), la cui struttura corporativa è stata confermata da senatoconsulti e costituzioni imperiali come quella dei mugnai e certi altri (simili) e dei trasportatori marittimi, che si trovano anche nelle province. 1. È poi proprio di coloro ai quali è stato concesso (permissium) di costituirsi (corpus habere) in corporazioni (collegii societatis), in quanto componenti di un collegio professionale, di una società commerciale o di altra organizzazione dello stesso tipo di avere, sull’esempio della comunità politica (rei publicae), beni comuni, una cassa comune, e un rappresentante (actorem) o sindaco (syndicum), per mezzo del quale, come nella comunità politica (re publica), possa essere attuato e fatto tutto ciò che è necessario attuare e fare in comune (comuniter)». Cit. in Francesco Milazzo Affari, finanza e diritto nei primi due secoli dell'impero - Atti del Convegno internazionale di diritto romano (Copanello, 5-8 giugno 2004), Giuffrè, 2012, p. 195. Anche Gaio nei suoi trattati
non fa menzione di pratiche iniziatiche o esoteriche nei Collegia e corpora romani. 20 In Numas, c. 17. Anche Gaio non fa menzione di pratiche iniziatiche o esoteriche nei Collegia e corpora romani.
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