processo storico-culturale durato più di mille anni per l’intero mondo occidentale3. A ben vedere il termine “secolarizzazione” può essere fuorviante o almeno è da
usare quando circoscritto alla condizione in cui la nazione e lo Stato passano dalla condizione “confessionale” a quella “aconfessionale”. La questione è più complessa, nel senso che i processi strutturali della società non abbandonano la “religiosità” ma è la “sacralità” che si ritira dal suo onnicomprensivo valore, valore che dava significato a ogni forma di organizzazione sociale. Invece che di secolarizzazione si dovrebbe parlare di crisi del sistema di religiosità totalizzante, quello che Hans Blumenberg definisce «assolutismo teologico» 4 , sistema che socialmente permeò i secoli dal Medioevo alla Riforma e che si concluse formalmente con la Rivoluzione Francese, per cui si potrebbe dire che il XVIII e specialmente il XIX secolo furono piuttosto i secoli della “grande secolarizzazione”. In conclusione si ripresenta la logica del post hoc, ergo ante hoc per cui una secolarizzazione iniziata in un certo secolo viene accreditata ai secoli precedenti.
Secolarizzazione e laicizzazione I processi di secolarizzazione infatti non significano l’abdicazione delle forme
istituzionali religiose (chiese, culti, precetti e dogmi, fedi), queste rimangono ben presenti combattendo con ogni mezzo ogni manifestazione socioculturale contraria. Sull’altra parte della barricata ci sono i processi produttivi che è difficile ricondurre a schemi di secolarizzazione, essendo tali per loro natura. La logica della massoneria moderna come conseguenza (sic) della secolarizzazione parte dal preconcetto che i processi produttivi medioevali in era di assolutismo teologico fossero intrisi di spiritualismo senza considerare che se un’istituzione religiosa può secolarizzarsi è difficile il processo inverso, che un’istituzione secolare si “spiritualizzi” perdendo i suoi connotati secolari5. Questa considerazione sulla spiritualizzazione delle corporazioni sia romane che medievali avanzata da una certa pubblicistica massonica probabilmente deriva da una superficiale lettura di specifici aspetti culturali del Medioevo, quando l’unico ceto acculturato, i clerici con in testa Tommaso d’Aquino, riprendevano il “disprezzo per la concretezza” di cifra platonica6 legando economia e moralità7. A rigore,
3 Queste ipotesi parastoriche non tengono conto del fatto che le associazioni di mestiere non furono un’esclusiva del mondo occidentale, esistendo forme simili anche in paesi mediorientali, si veda come indicazioni non esaustive: Randi Deguilhem e Suraiya Faroqhi Crafts and Craftsmen of the Middle East: Fashioning the Individual in the Muslim Mediterranean, I.B.Tauris, 2005. Le corporazioni di mestiere in certi paesi sono ancora presenti per antica tradizione, si veda Thomas Weyrauch Craftsmen and Their Associations in Asia, Africa and Europe, VVB
Laufersweiler, 2001. 4 Si veda Blumenberg, Hans, La legittimità dell'età moderna, Marietti, Genova, 1992, seconda parte: “Assolutismo
teologico e autoaffermazione umana”. 5 Sono esistiti dei rari casi nel Nord Europa di gilde commerciali che per varie ragioni persero il loro carattere economico mutandosi in confraternite dedite ad attività solidaristiche, ma furono casi singoli che non giustificano
una generalizzazione. 6 Per un’analisi del pensiero di Tommaso d’Aquino sulle problematiche economiche si veda S. Sangalli Il lessico settoriale delle realtà e dei fatti economici nell'opera omnia di s. Tommaso d'Aquino: esame filosofico del suo
insieme, Gregorian Biblical BookShop, 2005. 7 Tale “disprezzo” derivava dalla valutazione, posteriore all’epoca omerica e di Temistocle, che si dava agli artigiani (technites o demiurgoi) considerati un ceto inferiore appellandoli con termini abbastanza vili come bausoi, edraioi, kathemenoi per l’attività sedentaria e penosa o per la condizione di dipendenza mercenaria con il termine
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