definiva come opera di valore sovra-umano. Questa perdita avvenne molto prima nella storia umana, si perse dal momento in cui i processi di socializzazione e di organizzazione sociale (il senso dell’appartenenza a una comunità e alle sue forme organizzative) si fecero più complessi, si “civilizzarono” dalle comunità tribali a quelle regionali e nazionali. Nelle comunità tribali o di clan, quelle non ancora organizzate in strutture istituzionali geopolitiche più allargate, il sociale s’identificava con il religioso nello schema del “religioso-sociale” e l’aspettativa umana configurava in senso sacrale ogni attività, nel senso che i fenomeni religiosi o di fede assieme agli aspetti sociali, individuali e di gruppo, si fondevano in un “assoluto sacrale” e conseguentemente ogni fenomeno sociale era caratterizzato da cerimonialità e ritualità che gli davano significato sacrale; l’assoluto sacrale in quelle ere s’identificava con un “assoluto spirituale”. Quanto più le comunità assestandosi in forme stanziali si ampliavano e si organizzavano istituzionalmente tanto più la religione si ordinava in strutture e il sistema sociale si desacralizzava; si passava al “sociale-religioso” dove le aspettative elidendo il sacro si trasferivano sul piano del sociale mentre il religioso si conservava sotto le forme della pratica istituzionalizzata, creando le gerarchie religiose e i diversi culti. Dunque, schematicamente il processo graduale di “desacralizzazione” si sviluppò in una condizione in cui sociale e religioso assieme costituivano un “assoluto teologico” ove l’intera società e le sue istituzioni erano pervase da questa religiosità assoluta per cui il teologale dettava anche le regole sociali e condizionava quelle istituzionali che sviluppavano delle proprie ritualità e cerimonialità ormai prive di sacralità anche se con formale religiosità; ciò però non può essere definito come “assoluto spirituale”, in quanto le strutture sociali di tipo commerciale, militare e per certi versi di potere non si connotano per il loro valore spirituale e non producono di per sé un senso di spiritualità. Si giunse infine all’inizio del XIX secolo alla fase della separazione tra il sociale istituzionalizzato e la religiosità istituzionalizzata, il cosiddetto ”assoluto laico” nel quale il civile e il religioso si separano con possibili reciproci antagonismi. Il senso religioso nei termini di “assoluto teologico” pervase la storia europea dal Medioevo fino alla fine del XVIII secolo quando si avviò la rottura del patto tra Stato e Chiesa e si sperimentarono le prime forme di Stato aconfessionale, laico. Causa e conseguenza a livello culturale fu la messa in discussione della morale come solo e universale sistema di comportamento religioso; un processo che si evidenziò nella seconda metà del XVII secolo e in quello successivo nei paesi europei con un dilagante fermento innovativo sul rapporto tra persona, Stato e religione, un processo che Hegel formalizzò con la distinzione tra morale ed etica. Tornando alla tesi delle logge massoniche come prodotto della secolarizzazione
del mondo occidentale l’affermazione è troppo generica per avere un valore esplicativo, inoltre si danno per scontate troppe cose che invece dovrebbero essere singolarmente e criticamente valutate. Accettando acriticamente questa tesi la conseguenza dell’affermazione sarebbe che le logge di fine XVII e inizio XVIII secolo fossero forme di secolarizzazione di un precedente fenomeno, quello delle corporazioni medioevali che a loro volta sarebbero state espressioni di una realtà socioeconomica caratterizzata dal religioso-spiritualista, non secolarizzata né laicizzata. Per logica conseguenza alle nascenti logge massoniche quindi mancherebbe il senso spirituale che avrebbe
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