La Santa Crociata in onore di San Giuseppe
2/2017
Chiesa
parrochiale di Lavertezzo
vista dal fiume Verzasca
incontri. Se la tecnica è necessaria essa non può mai sosti- tuire la carità. La psicologia dell’incontro cioè non può esse- re altro che psicologia del cuore. Il servizio sociale non si attua con il perfezionamento dei mezzi tecnici ma con i valo- ri affettivi del cuore. È un problema di comunione umana e Aurelio Bacciarini ci aiutò a risolverlo con la Comunione dei santi.
La sofferenza non lʼha mai reso un uomo triste
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Aurelio Bacciarini era gravemente ammalato, ma la sofferen- za non lo trasformò mai in un uomo triste, dal temperamen- to pessimistico, in una specie di vittima schiacciata dalla fatalità del dolore, che diffonde ovunque vada un senso di angoscia e di desolazione; anzi, al contrario, egli andava sem- pre dicendo: «Via la malinconia, sia che viviamo, sia che mo- riamo siamo nel Signore». Nelle cliniche dove risiedeva - la sua «seconda patria», come le chiamava lui - la sua presen- za era come un raggio di luce e le conversazioni con gli am- malati erano sempre pervase di gioconda letizia. Anche quando il suo volto cominciava a mostrare i segni della ma- lattia, era sempre illuminato e diffondeva sempre una sereni- tà che affascinava tutti. Si sarebbe addirittura potuto dubitare delle sofferenze che pativa, leggendo la sua copiosa corri- spondenza con i fedeli, soffusa quasi sempre di sorridente cordialità. Aurelio Bacciarini voleva vivere insieme con i sofferenti per- ché essi sono la continuazione del sacrificio di Cristo e so- no per questo i suoi prediletti. Se per lui invocava le sofferenze, per l’ammalato aveva le sollecitudini e una pre- mura teneramente materna: voleva che si facesse tutto il pos- sibile per alleviargli il dolore e ridargli al più presto la salute. Correva sui luoghi delle sciagure: lo si trovava sulle strade
del dolore, soccorritore alacre e benedicente. Basta ricorda- re quello che fece nella Marsica quando nel 1915 fu scon- volta dal terremoto: salvò molti bambini orfani, attento e premuroso come una madre perché fossero cancellati nei lo- ro cuori le angosce e i tormenti che avevano vissuti. Se il quartiere romano di San Giuseppe era una zona dove impe- ravano l’aberrazione e la miseria egli seppe trasformarlo in una vera e propria comunità terapeutica.
Come buon samaritano a fianco di chi soffre
Quando la carestia ci colpì nel 1917 esortò la nostra popola- zione a intensificare la coltivazione della terra per sopravvi- vere, anticipando così l’idea geniale propugnata da Wahlen destinata ad essere attuata durante la seconda guerra mon- diale. Quando nel 1918 da noi imperversò la «grippe» egli seppe organizzare un’esemplare assistenza sanitaria in ogni parrocchia, raccogliendo il plauso e il consenso anche da parte delle autorità civili. Operando in tal modo egli andava già proponendo l’immagine di una Chiesa aperta e dinamica - che fu poi quella di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II - con la quale si poteva camminare insieme verso i tra- guardi della civiltà e della salvezza. Siamo in un mondo senza amore. L’uomo non riconosce più il suo simile se non nella paura e nell’angoscia. Per questo il Vangelo è di straordinaria attualità. Per farlo capire però, e per camminare di buona voglia fra i labirinti e precipizi della vita, e arrivare lietamente a lieto fine, come diceva il Manzo- ni, ci vogliono gli uomini del soprannaturale come Aurelio Bacciarini. Aveva ragione Dostoevskij: i santi sono i difenso- ri moderni dei valori della vita. Perciò Aurelio Bacciarini è un fulgido esempio di apostolo inserito pienamente nella nostra società.
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