Maggio 2010
DALLA STAMPA ALPINA
Vi proponiamo un bel testo a firma di Claudio Colombo, tratto dal notiziario di Gruppo “Pensare alpino a Rho”, che ci spiega perché il loro notiziario si chia- ma proprio così.
Un titolo, un programma
“Pensare Alpino a Rho” un titolo perlomeno inconsueto e senz’altro ambizioso per un foglio informativo di un piccolo Gruppo.
Inconsueto perché, di solito, si cerca di richiamare nel titolo qualcosa che abbia a che fare con lo scopo sociale del Gruppo e allora, nel nostro caso, ci si aspetterebbe di leggere titoli come: “Lo Scarpone”, “La Piccozza”, “La Penna Nera”….e invece no, si parla di pensiero, che già di per sé è una cosa impegnativa, aggettivata poi con un “alpino? che richiama, in pri- ma battuta, la visione delle montagne. Subito dopo ci si chiede che cosa le- ghi la terza parola del titolo, Rho, con l’immagine montana evocata, conside- rato che Rho è ben radicata nella pia- nura padana. Cominciamo, allora, a commentare questo titolo proprio dal- l’ultima parola.
È vero, Rho si trova in pianura ma basta un poco di vento che riporti pu- lito “quel cielo di Lombardia, così bel- lo quand’è bello, così splendido, così in pace” (Manzoni) per scoprire che Rho è assediata dalle montagne, da quelle Prealpi dominate dal Resegone e dalle Grigne, che son lì a portata di mano e poi, volgendo lo sguardo a ovest, dal Monte Rosa che reclama attenzione con la sua imponenza. Dunque, questa pianura non può fare a meno delle montagne perché sono loro che la proteggono dalle invasioni delle forze scatenate della natura e degli uomini.
Credo che sia stata per questa ragione che Rho, per anni, venne considerata come terra di reclutamento alpino, perché quei monti andavano difesi come l’ultimo baluardo per fermare un nemico che avrebbe avuto buon gioco una volta arrivato al piano. E i rhodensi non potevano che guar- dare con affetto alle montagne sce- gliendole, fin dal primo dopo-guerra, come il luogo preferito per rinfrancar- si durante il periodo estivo: Levo, Calogna, Pasturo, Saltrio, sono alcu- ne delle prime località prealpine scel- te per i soggiorni estivi, a cui faranno seguito quelle della Valle Vigezzo, della Valmalenco e dell’impegnativa Macugnaga.
Appurato che Rho è strettamente le- gata alla montagna, torniamo alle pri- me due parole del titolo: “pensare al- pino”, cioè sottoporre idee, impressio- ni, sensazioni, ricordi, resoconti, pro- poste ai lettori (prossimamente, spe- riamo, anche utilizzando internet) che aiutino la riflessione e ravvivino l’amore per la montagna e la tradizio- ne alpina.
Innanzitutto l’amore per la montagna, infatti senza montagna non ci sareb- bero gli Alpini. Molte sono le riviste, tante quelle di grandissimo prestigio, che propongono la montagna, quella
delle imprese epiche, delle arrampi- cate, dello sci, del turismo. Non è nostra intenzione, disparità di forze a parte, competere con queste pubblicazioni, come non vogliamo competere con quei club o associazioni che, quasi sempre meritoriamente, ti aiutano ad “andare” in montagna. A noi interessa trasmettervi, magari con un po’ di sentimentalismo e di poesia, che la montagna merita di es- sere vissuta, calpestata sui sentieri, subìta quando la salita ti taglia le gam- be ed esaltata quando i suoi paesaggi e i suoi colori ti mozzano il fiato. Ma non ci basta, perché è solo l’alpinità, con la sua particolare sensi- bilità, che riesce a unire l’amore per la montagna alla solidarietà per chi sta percorrendo lo stesso sentiero. Il cameratismo, la fatica della salita, la disciplina, il riconoscersi in tradi- zioni simili, che hanno caratterizzato il nostro servizio militare, unitamente al condividere valori dati per obsoleti o messi alla berlina come “Patria” o “civiltà cristiana”, dovere, famiglia, sacrificio, impegno, altruismo, che fu- rono, per gli Alpini che ci hanno pre- ceduto, beni indiscussi da salvaguar- dare, rappresentano il fondamento del nostro essere Alpini.
Non è dunque il solo amore per la montagna a fare di un uomo un Alpi- no ma è anche l’aver condiviso e il continuare a condividere gli ideali che affratellano gli uomini che si ricono- scono in una Patria e che le nostre montagne, nel ricordo di chi le ha di- fese, continuano ad esaltare. Ecco allora che anche a Rho è possi- bile far circolare un pensiero e, fin dove possiamo, dei gesti che faranno dire a chi ci vede sfilare con l’amato cappello che c’è ancora spazio per la speranza in una società che “produce” Alpini.
Certamente questa è una responsabili- tà gravosa che implica impegno e co- erenza, ma è l’unica strada che dob- biamo percorrere se vogliamo conti- nuare a chiamarci “Alpini” e sentirci orgogliosi di portare il cappello con la penna nera.
Claudio Colombo
Il prossimo numero di
'Veci e Bocia' chiuderà al 25 giugno.
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Veci e Bocia - 15
LETTERE AL DIRETTORE
Le mie diffidenze
Ho tra le mani la pagina de “Il Giorno” di sabato 10 aprile che titola subito a pagina 2: “Gadget e divise, la moda militare vende: <<Così la Difesa diventa un’azienda>>”.
Leggendo e rileggendo l’articolo in que- stione sono rimasto sconcertato. Non tanto perché si parla di vendere l’abbi- gliamento militare con tanto di marchio registrato come fanno le case di moda; per strada si vede diversa gente con giubbotti dell’aeronautica, giacche mimetiche, scarponi anfibi e via discor- rendo e ormai ci si è fatta l’abitudine; ma perché si parla di poter dare in affit- to (come esemplifica la giornalista Sil- via Mastrantonio che ha scritto l’artico- lo) dei saloni di una qualsiasi caserma dismessa per la festa di 18° complean- no della rampolla di una qualsiasi fami- glia-bene. Nello stesso articolo viene poi citata una dichiarazione del sottosegre- tario alla Difesa Crosetto che dice: <<Useremo lo stesso buon senso del cittadino: una caserma vuota si potrà dare in affitto producendo utili e, insie- me, garantendone la manutenzione, in accordo con gli enti locali>>. Mi sem- bra quasi una presa in giro e una man- canza di rispetto per chi in quelle caser- me ha passato diversi mesi. Ricordo l’impegno che ci voleva come “corveé caserma”, per tenerla in ordine e puli- ta da foglie, cartacce e mozziconi di sigarette gettati per terra, ricordo come ci si prendeva cura delle piante e di quei piccoli spazi verdi, senza poi considerare la pulizia che veniva ese- guita tutti i santi giorni all’interno di ogni palazzina-truppa. Anche tutto questo ci ha fatto crescere, maturare e responsabilizzare. E adesso? Voglio- no dare in affitto i saloni per feste di compleanno? E chi pulirà alla fine della festa? Si porteranno a casa i ri- masugli della festa? O chiameranno la “corveé caserma”? Anche noi, inu- tile negarlo, facevamo delle festicciole nelle camerate ma poi eravamo sem- pre noi a pulire e a rimettere tutto in ordine, il tutto per quel senso di re- sponsabilità che avevamo nei confron- ti di un bene dello Stato che ci era sta- to affidato. Questa era la nostra “ma- nutenzione” della caserma dove per mesi abbiamo alloggiato.
Per mantenere in buono stato una ca- serma bisogna “viverci”, non deman- dare il compito a esterni. Se le caser- me sono in totale stato di abbandono la colpa è di chi ha voluto chiuderle. Sono diffidente sul fatto di riaprirle per riempirne i saloni con delle feste di compleanno solo per fatturare uti- li; sarebbe più “utile” riempire di nuo- vo le caserme di ragazzi che impari- no il senso del sacrificio, del dovere, della disciplina e della responsabilità per aiutarli a diventare un giorno “uo- mini”.
Nella stessa pagina, poco sotto, c’è un articolo scritto da Roberto Baldini in- titolato: “Alpini, nasce la Brigata
Italo-Francese. Addio vecchi rancori di frontiera”. Nel suo articolo Baldini fa notare che a comporre questa nuo- va Brigata saranno tremila Alpini della Taurinense e tremila Chasseurs alpins della 27ª Brigata di montagna france- se. Questo nuovo reparto specializza- to dovrebbe rispondere a una duplice esigenza, sempre secondo Baldini: in primis quella di una forte integrazio- ne europea, primo passo verso un pro- babile Esercito Unico Europeo, e poi ovviamente generare un risparmio per le casse della Difesa.
Questa Brigata di Montagna Italo- Francese sarà operativa a partire dal 2013. Ora come ora questo è tutto quello che si conosce, ma io condivi- do il pensiero di Roberto Baldini quando si domanda se Chasseurs ed Alpini riusciranno a superare le diffe- renze e le diffidenze che li dividono. Senza contare poi la decisione sul copricapo che dovranno usare. Baldini ha scritto nel finale del suo articolo: “A meno che (i francesi) non voglia- no sostituirci il nostro glorioso cap- pello con il basco largo (a forma di “pizza”) che gli Chasseurs portano in testa. Che ci provino soltanto”. Già, che ci provino soltanto. Come ha scritto il direttore Vittorio Brunello in risposta a un alpino valdagnese nel numero di aprile de “L’Alpino”: “Se il cappello è cosa sa- cra, la penna è il sancta sanctorum, e non si tocca”. Concordo in pieno. Non si tocca né la penna, né il cappel- lo. Per noi è sacro, unico e non si cam- bia. Alla faccia della Brigata Italo- Francese e di ogni possibile economia di cassa!
Dario Bignami
Una rettifica
Caro Direttore, sul “Veci e Bocia” nr. 1 del 2010 ho riscontrato una piccola inesattezza per quanto riguarda l’anagrafe esposta da Giorgio Urbinati nella sua relazione, dove si fa l’elenco dei Soci ed Amici “andati avanti”.
Sotto il Gruppo di Ceriano Laghetto compaiono i nomi di Tresoldi Antonio, Alpino e di Mapelli Luigi, Amico. Per esattezza, a prescindere se l’erro- re è tipografico oppure appare anche nello scritto ufficiale del presidente, e anche nei confronti dei loro cari, vor- rei che facesti la seguente correzione: Luigi Mapelli era un Amico del nostro Gruppo; Antonio Tresoldi era un Al- pino del Gruppo di Cernusco sul Na- viglio, benché residente a Gessate ed essere stato nostro Socio per diversi anni. Comunque erano riportati corret- tamente su “Veci e Bocia” nell’ultima pagina, dove c’è l’anagrafe sezionale. Grazie per l’attenzione. Antonio Mangiagalli - Segretario del Gruppo di Gessate
Grazie a te Antonio per il chiarimen- to che pubblichiamo come doverosa rettifica.
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